L'esperienza di Letizia volontaria in BosniaNegli ultimi tempi, con l’aumentare dei flussi di migranti, principalmente rifugiati, è cresciuto anche un forte sentimento di xenofobia, il rifiuto di chi è straniero. Da cinque anni lavoro presso l’ufficio ANOLF (Associazione Nazionale Lavoratori Oltre Le Frontiere) di Como, da quattro faccio la volontaria in Bosnia al Villaggio SOS Hermann Gmeiner di Sarajevo e ormai ho imparato a riconoscere in pochi secondi gli sguardi empatici da quelli freddi e indifferenti: in quest’ultimo periodo i secondi superano di gran lunga i primi.

Quando sono a Sarajevo, nonostante siano passati vent’anni dalla fine del conflitto, respiro ancora densa l’aria della guerra, in una città divisa in quartieri stabiliti a tavolino e in sfere di influenza che effettivamente sussistono.

In questi periodi passati nella capitale bosniaca ho avuto l’opportunità di conoscere il Generale Jovan Divjak, un militare che durante l’Assedio di Sarajevo nonostante le sue origini serbe, si è schierato con bosniaci, croati e numerosi altri serbi a difesa di Sarajevo e della Bosnia-Erzegovina. I suoi racconti sono sempre molto intensi, ci parla di famiglie distrutte, di bombardamenti insensatamente crudeli e di un dopoguerra infinito che non ha ancora ridato una stabilità al paese.

L’esperienza in Bosnia è stata significativa per valutare le ondate di migranti che stanno raggiungendo l’Italia e l’Europa: in quel paese sperimento ancora gli esiti devastanti della guerra e, ironia della sorte, l’impatto che la cosiddetta “rotta dei Balcani” produce in una realtà totalmente impreparata ad accogliere e ad assistere i rifugiati transitanti.

L'esperienza di Letizia volontaria in BosniaQuando vedo bambini in attesa di varcare un confine o stipati su un barcone, scorgo lo stesso sguardo smarrito dei piccoli del Villaggio SOS di Sarajevo che si rasserena, grazie al lavoro degli educatori e dei volontari, e penso che un atteggiamento di maggiore apertura e di accoglienza sicuramente potrebbe aiutare queste persone a sentirsi meno disperate.

Anche la situazione dei cosiddetti migranti economici, residenti da tempo in Italia, in seguito alla crisi mondiale, è diventata più difficile e a rischio di gravi disagi specialmente per chi perde il lavoro ed ha una famiglia da mantenere. Il peso di un pregiudizio che li definisce “parassiti” del nostro sistema di welfare non favorisce una reale integrazione, anzi spesso vede risorgere atteggiamenti xenofobi e nazionalisti.

Per leggere questo fenomeno con maggiore obiettività occorre uno sguardo realistico che, oltre la compassione effimera, suscitata da qualche immagine o reportage televisivi, sia teso a comprendere le ragioni profonde che muovono delle persone alla ricerca di speranza e futuro.