Riflessione di una neolaureata

Quale futuro per i giovani

Studio, carriera, aspirazioni e stile di vita. Qualcuno azzarda anche un desiderio di stabilità: cosa può chiedere un giovane al proprio territorio? Essere una giovane donna, laureata, alla ricerca di occasioni per mettersi in gioco è un compito piuttosto arduo. E oggigiorno lo è per tutti. Ho voluto confrontarmi con chi mi circonda, compagni di università, amici, conoscenti, sconosciuti.

Nella nostra società la speranza spesso vacilla lasciando ampio spazio a sfiducia e scetticismo: il rischio è di precipitare in una condizione di precarietà non solo lavorativa, ma anche esistenziale.

Il raggiungimento dell’età adulta non è più scandito da passaggi canonici come la conclusione degli studi, un posto di lavoro, la formazione di un nuovo nucleo familiare e la nascita del primo figlio. Oggi i processi verso l’autonomia sono pesantemente rallentati. È prolungata la permanenza in famiglia e, di conseguenza, l’accesso alla vita pubblica.

Quale futuro per i giovani

Osservando i comportamenti più diffusi tra i giovani, ho potuto individuare tre differenti tipologie. Esistono i bamboccioni, gli svogliati, incuranti delle prospettive future. Esistono gli accusatori, inclini al vittimismo, che contestano un sistema povero di opportunità e alla ricerca continua di un capro espiatorio per occultare la loro inefficienza. Esistono, infine, gli sprecati, generazione invisibile che fatica a trovare un proprio spazio ed un proprio ruolo, sia perché nella nostra società sussiste un (eccessivo) ritardo del cambio generazionale, sia perché non ci si ferma ad ascoltare la loro capacità innovativa. Vengono così rimandate le occasioni perché essi diventino realmente una risorsa.

Alcuni dei giovani che ho incontrato pensano di trovare maggiori possibilità all’estero; d’altronde la fuga dei cervelli non è un fenomeno che si esplica esclusivamente nel mondo della ricerca.

Nell’Europa dei voli low cost e delle frontiere aperte, per molti trovare impiego oltre confine non è tanto un’occasione, quanto una scelta obbligata. Fino a qualche anno fa, infatti, l’esperienza all’estero era spronata principalmente da valutazioni personali e poteva durare giusto qualche mese o pochi anni. Oggi, invece, sono molti i giovani laureati che si sentono costretti a lasciar l’Italia perché non riescono a trovarvi posizioni adeguate ai loro studi, ben remunerate e con migliori prospettive.

Quale futuro per i giovani

Il confronto con i miei coetanei mette in evidenza una forte sfiducia verso le Istituzioni.

I giovani, infatti, incolpano proprio le Istituzioni di sostenere meccanismi di esclusione che li costringono ad allontanarsi dal locale per volgersi al globale.

La sensazione è che si stia perdendo l’opportunità di far partecipare le nuove generazioni alla società, la loro, in maniera piena. Partecipare vuol dire esprimere opinioni, prendere parte alle decisioni e contribuire al benessere della comunità. La crescita sociale riguarda proprio la partecipazione alla comunità e l’accettazione delle responsabilità all’interno di essa.

In un clima di incertezze e precarietà, sono svariati i modi di vivere il sentimento di appartenenza al territorio. Alcuni giovani si sentono stimolati a cercare le certezze non più nel proprio contesto, ma altrove; altri non accettano di uscire dall’ambito locale e manifestano forme di chiusura verso mondi diversi, nella convinzione che nessun essere umano ha la facoltà di poter scegliere il luogo in cui nascere, ma che tutti debbano avere il diritto di scegliere il luogo in cui vivere.

Le domande, ora, sorgono spontanee: chi è responsabile del futuro delle nuove generazioni? A chi è affidata la promozione dei giovani?

Quale futuro per i giovaniDi fatto, la crisi legata alla condizione giovanile si colloca all’interno di una società essa stessa in crisi. Forse la politica dovrebbe fare uno sforzo maggiore per valorizzare le nuove generazioni in ragione della loro energia, flessibilità, capacità di innovazione e disponibilità a muoversi in uno scenario internazionale.

In particolare, le Amministrazioni locali dovrebbero cercare di fornire risposte adeguate, creando opportunità di espressione e partecipazione, stabilendo criteri di accesso ma dando a tutti la possibilità di usufruirne.

Altrimenti, quale futuro ci si prospetta?

Quale futuro per i giovani

Per ogni cervello che entra ne esce uno e mezzo In Italia, anno su anno il tasso di disoccupazione risulta in discesa di 1,6 punti.

Dalle rilevazioni dell’ISTAT emerge che nel complesso a gennaio gli occupati sono aumentati di 70mila unità su base mensile e di 299mila (+1,3%) rispetto a gennaio 2015, quando è entrata in vigore la decontribuzione totale sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato.

Gli occupati però crescono quasi solo tra gli over 50, infatti - sempre sulla base dei dati pubblicati dallo stesso Istituto nazionale di statistica - il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni resta elevato, anzi a gennaio è risalito portandosi al 39,3%, il valore più alto dall’ottobre scorso.

Inevitabile, quindi, la ricerca per i giovani di un’occupazione all’estero.

Ad un anno dalla laurea il 48% degli italiani occupati negli altri Paesi ha un lavoro stabile, mentre in Italia i laureati magistrali occupati dopo un anno dal titolo sono il 34%. Una delle cause di questo squilibrio sta nel fatto che all’estero si riscontra una minore diffusione del lavoro autonomo e una maggiore presenza di tipologie contrattuali a tempo indeterminato.

Il problema è aggravato non solo dalla mobilità in uscita, quanto dai flussi in entrata: la ridotta presenza di studenti esteri nel nostro sistema universitario denota un modesto grado di attrattività complessivo del nostro sistema paese, con il risultato del perpetuarsi di un saldo negativo.