Non Sprecare e Sfamare il MondoLaudato si’, mi Signore per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa et produce diversi fructi con coloriti flori et herba”. Con queste parole Francesco d’Assisi nel Duecento, cantando il suo inno alla vita, si rivolgeva alla nostra Terra in una visione positiva di fratellanza tra l’uomo e tutto il creato. Da allora l’uomo, che si è industriato a coltivare, produrre, commercializzare e consumare prodotti alimentari, non è stato così rispettoso della terra e dei frutti che produce.

La FAO (Organizzazione mondiale per l’Alimentazione e l’Agricoltura) calcola che ogni anno si sprechino 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, pari a 1/3 della produzione totale destinata al consumo umano. Eppure a fronte dei miliardi di tonnellate di cibo gettato nella spazzatura, c’è un miliardo di persone al mondo che soffre la fame e non ha accesso a sufficienti risorse alimentari.

Il fenomeno dello spreco, contrariamente a quanto si può pensare, riguarda sia i paesi industrializzati che quelli in via di sviluppo, infatti essi sperperano, rispettivamente, 670 e 630 milioni di tonnellate di cibo ogni anno, per un valore di 990 miliardi di dollari. Quando parliamo di spreco, inoltre, non consideriamo che a questo termine si lega un altro fenomeno importante: quello delle eccedenze alimentari. Le eccedenze alimentari, infatti, sono costituite dal cibo e dai prodotti che, pur rispondendo agli standard qualitativi di sicurezza alimentare, non sono acquistati o consumati dai clienti e dalle persone per cui sono stati prodotti, trasformati, distribuiti, o serviti.

Non Sprecare e Sfamare il MondoLa parte di eccedenze non recuperate per il consumo umano (ottica sociale), per l’alimentazione animale (ottica zootecnica), per la produzione di beni o energia (ottica ambientale) diventa spreco. I numeri impressionanti (forniti dalla FAO come da altre Organizzazioni e Istituti con le loro ricerche) ci spingono ad andare più in profondità e a porci delle domande.

Perché rifiutiamo, scartiamo, sperperiamo? Dove e come il cibo viene sprecato? Perché viene buttato via in tali quantità?

Le cause che determinano eccedenze, rimanenze o sprechi sono molteplici e variano a seconda delle fasi della filiera agroalimentare, ma è possibile distinguere tra due tipologie: la prima riguarda le perdite che si determinano a monte della filiera agroalimentare, principalmente in fase di semina, coltivazione, raccolta, trattamento, conservazione e prima trasformazione agricola (che in inglese sono riassunti in un unico termine food losses); la seconda concerne gli sprechi che avvengono durante la trasformazione industriale, la distribuzione e il consumo finale (in inglese denominati food waste).

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Alla base di questo gigantesco fenomeno, quindi, non ci sono solo le cattive abitudini di milioni di persone, che non conservano i prodotti in modo adeguato, ma anche le date di scadenza troppo rigide apposte sugli alimenti, le promozioni che spingono i consumatori a comprare più cibo del necessario, i numerosi passaggi dal produttore al consumatore e, aspetto non meno rilevante, anche i limiti connessi ai fattori ambientali e alle tecniche produttive, le difficoltà di previsione della domanda, i danneggiamenti riportati sul prodotto e sul packaging (imballaggio) nei processi industriali, l’alterazione degli alimenti in fase di trasporto e stoccaggio, ...

Mentre per i Paesi in via di sviluppo c’è molta strada da fare per ridurre le perdite nella prima parte della filiera alimentare, nei Paesi sviluppati i maggiori problemi sono nelle fasi finali (consumo domestico e ristorazione). Se ci addentriamo ancora tra i numeri questi ci riservano molte sorprese: il cibo prodotto ogni anno per il consumo umano è di 4 miliardi di tonnellate, pari a 550 chili per abitante. Se il cibo a disposizione non manca, ma per il Pianeta si aggira ancora lo spettro della fame, dobbiamo porci degli interrogativi sugli squilibri di produzione e consumo nel mondo, sulla disparità sociale tra chi spreca e chi non ha da mangiare.

Lo spreco alimentare, inoltre, mette in luce un altro paradosso: basterebbe recuperarne anche solo una piccola parte per cancellare il fenomeno della sottonutrizione che costa ogni anno, in termini di lavoro perso, spese sanitarie e sociali, 3.500 miliardi di dollari, ossia 480 dollari a testa. Il problema, al di là delle valutazioni morali, va affrontato anche per le conseguenze economiche che comporta.

Non Sprecare e Sfamare il MondoMa guardiamo adesso alla realtà italiana. Una ricerca effettuata da Fondazione per la Sussidiarietà e il Politecnico di Milano ha messo in evidenza che in Italia si generano annualmente 6 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari pari a circa 13 miliardi di euro, mentre si sprecano 5,5 milioni di tonnellate di cibo pari al 16% dei consumi per un valore di 12,3 miliardi di euro.

Secondo l’Osservatorio sullo spreco domestico (promosso da Last Minute Market, in collaborazione con l’università di Bologna e con l’istituto di ricerca Swg) in Italia si sprecano mediamente il 17% dei prodotti ortofrutticoli acquistati, il 15% di pesce, il 28% di pasta e pane, il 29% di uova, il 30% di carne e il 32% di latticini. Per una famiglia italiana questo significa una perdita di 1.693 euro l’anno. Ancora dati che confermano quanto lo spreco sia “la norma”, sebbene - come risulta dalle ultime ricerche - questo si sia ridotto del 57% per effetto della crisi economica che ha indotto gli italiani a risparmiare, a programmare meglio le proprie spese e i propri consumi, ridimensionando le quantità acquistate, riutilizzando gli avanzi e prestando maggior attenzione alle scadenze.

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Soprattutto dal 2013 si sta sviluppando una maggiore consapevolezza del valore del cibo e della necessità di ridurre gli sprechi. Secondo un altro sondaggio, condotto per lo stesso Osservatorio, il 78% degli italiani dice no allo spreco alimentare: chi per motivazioni economiche, chi per etica, chi per la sostenibilità ambientale.

Il 67% del campione, inoltre, auspica leggi che prevedano sgravi fiscali per chi adotta soluzioni anti-spreco donando le eccedenze. E secondo il 62% degli intervistati nelle scuole si dovrebbe insegnare la “neoeconomia domestica” con corsi obbligatori che spiegano come sfruttare bene in cucina tutti gli alimenti Se è vero che dobbiamo “Nutrire il Pianeta” e se è vero che, con l’aumento della popolazione, la produzione dovrà aumentare del 60% (come dicono i dati FAO) poiché sprechiamo un terzo di questa produzione, dobbiamo ripartire dalla prevenzione e all’attenzione agli sprechi.

Non Sprecare e Sfamare il MondoCome possiamo rendere le eccedenze e lo spreco alimentare un’opportunità?
“La cultura dello scarto e del consumo illimitato – ha detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – non si concilia più con il futuro possibile, né con lo sviluppo economico. È questa la novità del nostro tempo. Uscire dalla crisi vuol dire saper innovare e cambiare rotta”. Ha proposto, infatti, “un patto di cittadinanza” contro lo spreco, che chiama in causa i singoli consumatori perché con la scelta dei prodotti possono “giocare un ruolo attivo, condizionando il mercato e non essendone soltanto condizionati”.

Lo Stato poi deve fare la sua parte, infatti ridurre gli sprechi è un grande impegno pubblico, a cui possono partecipare da protagonisti la società civile organizzata, il volontariato, il noprofit, la cooperazione, l’impresa privata. Alcuni progetti di solidarietà realizzati da associazioni e organizzazioni della grande distribuzione, come molte campagne di sensibilizzazione promosse da Centri Universitari e Istituti di ricerca, stanno dando risultati positivi, ma occorre estenderli anche intervenendo con strumenti legislativi di sostegno alle azioni antispreco.

Ci sono, poi, le piccole azioni quotidiane che ogni cittadino e consumatore può mettere in atto per contribuire a ridurre il proprio spreco alimentare come:

  • fare la lista della spesa e comprare solo quanto necessario;
  • comprare se possibile da produttori locali;
  • scegliere prodotti di stagione;
  • usare meno trasformati e più ingredienti;
  • imparare a cucinare con quello che c’è, usando avanzi e scarti;
  • non servire porzioni eccessive.

 

Dare valore al cibo, ristabilire l’importanza della sua qualità ci potrebbe forse far riscoprire e riapprezzare la nostra identità umana e sociale. Combattere la perdita di questo valore, più che lo spreco in sé, è un obiettivo che tutti dovremmo perseguire e ciascuno può contribuire con le proprie azioni alla costruzione di un nuovo modello di “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva” che si prenda cura della nostra casa comune.

La Carta di Milano

Vogliamo lasciarci alle spalle un mondo in cui la fame e lo spreco convivono, in cui la produzione di biocarburanti e mangimi non tiene conto della scarsità di acqua e alimenti, in cui l’obesità in un paese contrasta con la denutrizione in un altro”.
In questa mission è racchiuso il progetto EXPO Milano 2015 che invita cittadini e istituzioni a sottoscrivere la Carta di Milano per affrontare il problema della sostenibilità alimentare con tre obiettivi:
promuovere stili di vita sani e combattere l’obesità;
promuovere l’agricoltura sostenibile;
ridurre lo spreco di cibo del 50% entro il 2020.