Quando i Migranti eravamo Noi

Noi siamo il popolo che ha inventato il passaporto rosso perché non sapeva come dare da mangiare a tutti e perché si potesse andare a cercare fortuna altrove. Per questo dobbiamo essere disponibili a capire chi viene da noi e ha avuto un’educazione e una vita tanto diverse dalla nostra”. [Enzo Biagi]

 

Caratteristiche storiche dell’emigrazione italiana

Nell’arco di poco più di un secolo un numero quasi equivalente all’ammontare della popolazione italiana, che al momento dell’Unità d’Italia - secondo il primo censimento - era di 23 milioni, si trasferì in quasi tutti gli Stati del mondo occidentale e in parte del Nord Africa.

Solo tra il 1860 e il 1885 furono registrate più di 10 milioni di partenze! Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni italiane. Il fenomeno tra il 1876 e il 1900 interessò prevalentemente l’Italia settentrionale, con tre regioni che fornirono da sole circa il 47% dell’intero contingente migratorio: il Veneto (17,9%), il Friuli-Venezia Giulia (16,1%) ed il Piemonte (13,5%). Nei due decenni successivi il primato migratorio passò alle regioni meridionali, con quasi tre milioni di persone emigrate soltanto da Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, e quasi nove milioni da tutta Italia.

Quando i Migranti eravamo Noi

L’emigrazione italiana si può distinguere in due grandi periodi: quello della grande emigrazione tra la fine del XIX secolo e gli anni Trenta del XX secolo, dove fu preponderante il flusso verso le Americhe, e quello dell’emigrazione europea che ha avuto inizio a partire dagli anni Cinquanta.

La dimensione del fenomeno migratorio italiano è importantissima; nessun altro paese europeo ha avuto un esodo costante di emigranti per un periodo così lungo. Tutte le regioni italiane, nessuna esclusa, hanno contribuito alla presenza degli italiani nel mondo. L’emigrazione italiana, oltre ad essere stata una via di fuga da condizioni socio-economiche difficili, ha rappresentato una opportunità per lo sviluppo dell’economia marittima nella costa ligure dell’Ottocento, un escamotage di fronte alle crescenti pressioni sociali nei primi del Novecento, una facile soluzione alla questione meridionale e un’ importante fonte di sostentamento attraverso le rimesse degli emigranti per più di un secolo.

Prima fase: la grande emigrazione

La grande emigrazione ha avuto come punto d’origine la diffusa povertà di vaste aree dell’Italia e la voglia di riscatto d’intere fasce della popolazione, la cui partenza significò per lo Stato e la società italiana un forte alleggerimento della “pressione demografica”.

Essa ebbe come destinazioni soprattutto l’America del Sud ed il Nord America (in particolare Argentina, Stati Uniti e Brasile, paesi con grandi estensioni di terre non sfruttate e necessità di manodopera) e in Europa, la Francia. Ebbe modalità e forme diverse a seconda dei paesi di destinazione.

A partire dalla fine del XIX secolo vi fu anche una consistente emigrazione verso l’Africa, che riguardò principalmente l’Egitto, la Tunisia e il Marocco, ma che nel secolo XX interessò pure l’Unione Sudafricana e le colonie italiane della Libia e dell’Eritrea.

In Argentina e negli Stati Uniti si caratterizzò prevalentemente come un’emigrazione di lungo periodo, spesso priva di progetti concreti di ritorno in Italia, mentre in Brasile ed Uruguay fu sia stabile che temporanea (emigración golondrina).

A dare avvio alla possibilità di emigrazione verso le Americhe fu il progresso in campo navale della seconda metà dell’Ottocento, con navi a scafo metallico e sempre più capienti, che ridusse sia il costo (prima improponibile per un emigrante povero) sia la pericolosità del viaggio.

Quando i Migranti eravamo Noi

La data simbolica d’inizio dell’emigrazione italiana nelle Americhe può essere considerata il 4 ottobre 1852, quando venne fondata a Genova la Compagnia Transatlantica per la navigazione a vapore con le Americhe, il cui principale azionista era Vittorio Emanuele II. Tale compagnia commissionò ai cantieri navali di Blackwall i grandi piroscafi gemelli Genova e Torino, varati rispettivamente il 12 aprile e il 21 maggio 1856.

L’emigrazione verso il Brasile, invece, fu favorita a partire dal 1888 quando in quel paese fu abolita la schiavitù, cosa che rese favorevole l’accoglienza di manodopera d’immigrazione. In questa fase i periodi più interessati dal movimento migratorio vanno dal 1876 al 1915 e dal 1920 al 1929 circa, sebbene il fenomeno fosse già presente fin dai primi anni dell’Unità d’Italia.

Si stima che solo nel primo periodo partirono circa 14 milioni di persone (con una punta massima nel 1913 di oltre 870.000 partenze), a fronte di una popolazione italiana che nel 1900 giungeva a circa 33 milioni e mezzo di persone.

Molti piccoli paesi (in particolare quelli a tradizione contadina) si spopolarono. Particolare il caso del comune di Padula, piccolo centro nel salernitano, che tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo ha visto, nell’arco di 10 anni, la sua popolazione dimezzarsi.

Quando i Migranti eravamo Noi

L’emigrazione nelle Americhe, consistente nell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, quasi si esaurì durante il Fascismo, ma ebbe una piccola ripresa subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. La massiccia emigrazione italiana nelle Americhe si esaurì attorno al 1960, dopo il “miracolo economico”, anche se continuò fino agli anni ottanta in Canada e Stati Uniti.

Seconda fase: l’emigrazione europea

L’emigrazione europea della seconda metà del XX secolo, invece, aveva come destinazione soprattutto stati europei in crescita come Francia, Svizzera, Belgio e Germania ed era considerata da molti, al momento della partenza, come un’emigrazione temporanea - spesso solo di alcuni mesi - un’occasione di lavoro e guadagno per costruire un futuro migliore in Italia, infatti fu soprattutto a partire dal 1970 che molti italiani rimpatriarono.

Lo stato italiano firmò nel 1955 un patto di emigrazione con la Germania con il quale si garantiva il reciproco impegno in materia di migrazioni e che portò quasi tre milioni di italiani a varcare la frontiera in cerca di lavoro.

Oggi sono presenti in Germania circa 650.000 cittadini italiani fino alla quarta generazione, mentre sono più di 500.000 in Svizzera: prevalentemente di origine siciliana, calabrese, abruzzese e pugliese, ma anche veneta ed emiliana dei quali molti ormai con doppio passaporto e possibilità di voto in entrambe le nazioni.

Quando i Migranti eravamo Noi

In Belgio e Svizzera le comunità italiane restano le più numerose rappresentanze straniere, e nonostante molti facciano rientro in Italia dopo il pensionamento, spesso i figli e i nipoti restano nelle nazioni di nascita, dove hanno ormai messo radici.

Un importante fenomeno di aggregazione, che si riscontra in Europa, come anche negli altri paesi e continenti, meta dei flussi migratori italiani, è quello dell’associazionismo di emigrazione. Il Ministero degli Esteri calcola che sono presenti all’estero oltre 10.000 associazioni costituite dagli emigrati italiani nel corso di oltre un secolo.

Associazioni di mutuo soccorso, culturali, di assistenza e di servizio, che hanno costituito un fondamentale punto di riferimento per le collettività emigrate nel difficile percorso di integrazione nei paesi di arrivo. Le maggiori reti associative di varia ispirazione ideale, sono oggi riunite nella CNE (Consulta Nazionale dell’Emigrazione). Una delle maggiori reti associative presente nel mondo, assieme a quelle del mondo cattolico è quello della FILEF (Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie).

Emigrazione interna

La stessa importanza assunsero i flussi migratori interni alla nazione: prima alla fine Ottocento, poi con un movimento più intenso dal secondo dopoguerra e con una nuova spinta attorno al 1990. Un primo tipo di emigrazione “interna”, che caratterizzò la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento, fu quella che dai territori irredenti Trentino-Alto Adige e Venezia Giulia portava gli emigranti ai lavori stagionali verso il vicino Regno d’Italia.

Gli uomini erano “segantini” (impiegati nella sega a mano dei tronchi), “moléti” (arrotini) e salumai; le donne invece emigravano per lavorare nelle città come badanti o personale di servizio nelle famiglie ricche. Tale emigrazione era usualmente stagionale (soprattutto per gli uomini) e caratterizzava il periodo invernale in cui i contadini non potevano lavorare la terra.

Le migrazioni interne degli anni ‘50 e ‘60, furono essenzialmente di due tipi: la migrazione di gentiluomini, ovvero lo spostamento di giovani rampolli dalle campagne alle città per motivi di studio; il trasferimento nelle città industriali dell’area Nord-Ovest di giovani maschi, coniugati o in procinto di sposarsi, con basso titolo di studio, prevalentemente dal Sud e dal Triveneto. Le donne, invece, emigrarono secondo il modello “catena di richiamo” ossia per ricongiungimento familiare.

Quando i Migranti eravamo Noi

A partire dal 1995 l’istituto SVIMEZ (Istituto Sviluppo Mezzogiorno) inizia ad osservare una certa ripresa dell’emigrazione interna. L’origine dei flussi continua ad essere dalle regioni del Mezzogiorno, ma la destinazione prevalente è diretta, adesso, verso il Nord-Est e parte del Centro. Le regioni più attive sono la Lombardia orientale, il Veneto, l'Emilia-Romagna, la Toscana e l' Umbria.

La figura dell’emigrante contemporaneo è in generale molto diversa da quello della generazione precedente. Infatti solo alcuni emigrano insieme alla famiglia, la maggior parte lo fa individualmente, si sottopone a lunghi spostamenti pendolari e condivide con altri, un alloggio, spesso sovraffollato.

Sull’asse dell’emigrazione sud-nord, bisogna segnalare i laureati che, non trovando lavoro nelle vicinanze di casa, si spostano nelle regioni del nord, dove la richiesta di “cervelli” (insegnanti, medici, avvocati, ecc.) è costante, con una domanda spesso superiore all’offerta, in particolare per quel che concerne la scuola.

Un altro filone è rappresentato da giovani arruolati nelle forze dell’ordine (Guardia di Finanza, Carabinieri, Polizia) che prestano servizio nelle caserme del Nord.

Terza fase: l’emigrazione italiana del XXI secolo

Nei primi anni del 2000 si è attenuato il flusso emigratorio dall’Italia nel mondo, caratterizzato attualmente per un quarto da professionisti spesso laureati, la cosiddetta “fuga dei cervelli” termine che indica genericamente l’esodo di giovani mediamente o altamente qualificati verso paesi esteri).

Tuttavia, a seguito degli effetti della grave crisi economica del 2007-2008 è ripartito un flusso consistente di espatri dall’Italia verso il Nord Europa (in particolare la Germania dove sono giunti solo nel 2012, oltre 35.000 italiani) ma anche verso altri paesi come il Canada, l’Australia, gli USA e i Paesi sud-americani.

Il fenomeno della cosiddetta “Nuova Emigrazione” causata dalla grave crisi economica riguarda peraltro tutti i paesi del sud Europa, come Spagna, Portogallo e Grecia (oltre all’Irlanda) che registrano analoghi, se non maggiori trend emigratori negli ultimi anni.

Quando i Migranti eravamo Noi

È opinione diffusa che ove non si registrino mutamenti strutturali nelle politiche economico-sociali, questi flussi sono destinati a crescere considerevolmente. Per quanto riguarda l’Italia è anche significativo il fatto che tali flussi non riguardino più soltanto le regioni del meridione italiano, ma anche quelle del Nord (come Lombardia ed Emilia-Romagna).

Secondo le statistiche disponibili, la collettività italiana stabilizzata nel mondo, pur ridotta di molto dai 9.200.000 dei primi anni Venti, quando era circa un quinto dell’intera popolazione italiana, conta ancora oggi oltre 4 milioni di Italiani residenti all’estero.

Nel 2008, circa 60.000 italiani hanno cambiato nazionalità di residenza, provenienti per lo più dal Nord Italia prediligendo la Germania come patria di adozione (12% del totale emigrato). Si tratta quindi di nuovo tipo di emigrazione, molto diversa da quella considerata “storica” e non riconducibile ai flussi migratori dei secoli scorsi.

Quando i Migranti eravamo Noi

Le nazioni dove più si diressero gli emigranti italiani furono gli Stati Uniti, il Brasile e l’Argentina. In questi tre Stati attualmente vi sono oltre 64 milioni di discendenti di emigrati italiani. Una quota importante di Italiani andò in Uruguay, dove i discendenti di Italiani nel 1976 erano 1.300.000 (oltre il 40% della popolazione del piccolo Stato). Quote consistenti di emigranti italiani si diressero anche in Venezuela e in Canada, ma vi sono pure nutrite colonie di emigranti italiani in Cile, Peru, Messico, Paraguay, Cuba e Costa Rica.